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Tanto tuonò che piovve. Roberto Ferrari sul “dopo Leopolda”

A tutti gli osservatori della politica è chiaro che l’attesa, molto mediatica, dell’esito degli appuntamenti di Ottobre ( L’Aquila, Bologna, Firenze ) è più indirizzata a rendere non credibile il PD che ad offrire un’opportunità di ricostruzione del paese.
Sbagliamo e facciamo un regalo al berlusconismo a non piantare un palo (non un paletto) fermo e profondo, che definisca la responsabilità della gestione della crisi economica, sociale e democratica che soffre oggi l’Italia ed i rischi sempre più probabili e vicini che ci troviamo di fronte.
Non siamo tutti uguali, a partire dal fatto che se il PD fosse stato al Governo non avrebbe fatto quello che invece ha deciso di fare questa maggioranza.
Mentre oggi il tema centrale è il futuro dell’Italia, noi rischiamo, a forza di catalogarci e distinguerci sul futuro del PD, di dare l’idea di non essere in grado di avanzare una proposta al paese e che potremmo ritrovarci anche senza PD, a meno che questo non sia il vero obiettivo.

Se fuori dal PD posso immaginare che ci sia chi lo auspica, dentro lo troverei molto stupido.
Stupido perché non riconosce lo sforzo politico che ha dato origine al PD, stupido perché subordina la lungimiranza del progetto ai tornaconti facili ed immediati, stupido perché tradirebbe una volontà diffusa, ancora sufficientemente diffusa, come dimostrano le primarie fatte per scegliere i candidati o i dirigenti.
L’avvicinarsi delle elezioni politiche, l’idea di vincerle facilmente (non è scontato, anzi è gravissimo pensarlo) stanno condizionando la formazione del processo giusto ed inevitabile: programma, coalizione, leader.
L’innovazione non basta per fare un programma, per offrire una proposta credibile e accettabile.
Abbiamo bisogno di condividere largamente alcune priorità praticabili: occupazione, redistribuzione del reddito, giustizia fiscale, sacrifici infragenerazionali.
Usciamo dalle frasi fatte e dalle provocazioni, il PD non deve rincorrere quale interpretazione dare ai licenziamenti facili ma preoccuparsi di facilitare le assunzioni; non deve allargare le distanze fra garantiti e non garantiti ma estendere le garanzie, sociali e previdenziali per costruire una comunità coesa e solidale, dove i sacrifici non sono una penalizzazione da subire ma diventano un investimento, perché sono equi, proporzionali, perché premiano il lavoro e non le rendite, perché consentono di costruire un futuro.
Non inseguiamo slogan facili ma banali, perché per non voler essere definiti politici del novecento rischieremmo di praticare politiche dell’ottocento.
Facciamo questo dibattito in tutte le sedi, senza chiederci se è meglio la Leopolda o l’Assemblea Nazionale, perché ci servono entrambe, perché se indiscutibilmente nella prima abbiamo l’occasione di coinvolgere persone che difficilmente verrebbero ad una riunione di circolo, nella seconda ci sono coloro che hanno voluto e preteso di essere legittimati a rappresentare la classe dirigente del PD, che è e vuole rimanere un partito.
Alcuni lo chiamano “ditta” altri preferiscono “comunità”, vanno bene tutte le definizioni ma sia chiaro che il PD rimane un partito composto da uomini e donne che hanno fatto una scelta volontaria e che quando ricoprono ruoli dirigenziali, consiglieri comunali, provinciali, regionali, sindaci, Presidenti di Provincia, Parlamentari, Segretari di Circolo, Provinciali, Regionali o Nazionale, assumono un ruolo di responsabilità collettiva. E’ questa responsabilità che ci deve guidare a lavorare per l’interesse del paese, perché la situazione in cui versa l’Italia è drammatica, perché proprio perché siamo del PD con i nostri valori e con i nostri principi, sappiamo definire l’ordine delle priorità: prima il paese del partito, prima il noi dell’io.
Quando parliamo ed agiamo pensiamo all’utilità delle nostre azioni in funzione degli altri prima che di noi stessi.
A Reggio Emilia non dovrebbe essere difficile, dato che molti dirigenti sono Amministratori o lo sono stati e quindi sanno cosa significhi essere legittimati e rispondere alla responsabilità collettiva.
Qui, come in tutte le realtà dove amministriamo, abbiamo una responsabilità in più ed un’opportunità: dimostrare che si possono governare i cambiamenti, costruire un futuro e garantire uno sviluppo coeso e solidale.
Sabato saremo a Roma. In nome del popolo italiano dimostriamo di essere tanti, credibili, seri, di avere a cuore le sorti del paese, di essere in grado di rappresentare la forza politica e di rappresentanza indispensabile per ricostruire l’Italia. Facciamo tutti un passo indietro, mettiamoci a disposizione, facciamo ciò che serve al paese, daremo credibilità alla democrazia, alla politica e ai partiti. Altrimenti ci troveremo tutti sulla stessa barca, a svuotare l’acqua con il cucchiaino, e magari con qualcuno che si diverte a fare le onde.
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