Anche le donne del Pd reggiano hanno voluto far sentire la propria voce, esprimendo tutto il loro dissenso riguardo alla sentenza emessa dalla Corte di Cassazione venerdì scorso. In un comunicato emesso sabato, le donne del Partito Democratico hanno definito la sentenza «una prova brutale e impressionante di quanto profondo sia, in questo paese, il maschilismo» e «indegna di un paese civile. La sentenza ha stabilito che gli autori di uno dei delitti più ripugnanti e terribili, dalle conseguenze devastanti per la vittima, lo stupro di gruppo, potranno non andare più in carcere. La Corte di cassazione ha stabilito che sarà di volta in volta il giudice a decidere se gli accusati dello stupro di gruppo andranno in prigione ad aspettare il processo. E’ una decisione gravissima e vigliacca che darà forza agli stupratori e renderà ancora più deboli e indifese le vittime. Noi della Conferenza permanente delle donne del Pd respingiamo questa sentenza e condanniamo la cultura che la sottende».
Parole durissime, ma che trovano eco anche in diversi altri ambiti politici e non solo. Anche la presidente della Provincia Sonia Masini, assieme alla coordinatrice del forum provinciale delle donne, Vera Romiti e la consigliera provinciale di Parità Maria Mondelli hanno voluto rendere noto il loro profondo disaccordo. «Riteniamo un insulto, se non una presa in giro nei confronti delle donne – afferma il comunicato – il pensare di applicare misure cautelari alternative al carcere per gli stupratori di gruppo. Restiamo in attesa di poter capire meglio cosa la Giustizia intenda fare concretamente. Vorremmo comunque esprimere tutto il nostro disappunto per una decisione che riteniamo offenda e sottoponga a una seconda forma di violenza le donne vittime di abusi, negando loro la giustizia vera che meritano».
La decisione della Cassazione è figlia di un’interpretazione in senso estensivo di una sentenza che la Corte Costituzionale aveva emesso nel 2010. Secondo la Cassazione, nei procedimenti riguardanti la violenza sessuale di gruppo, il giudice incaricato non sarà più obbligato a disporre o a mantenere la custodia in carcere degli indagati, ma potrà applicare misure cautelari alternative. In una nota, lo stesso tribunale ha cercato di spiegare come questa interpretazione sia stata «doverosa. L’alternativa – è affermato nella nota ufficiale – sarebbe stata sollevare una questione di incostituzionalità, che avrebbe portato verosimilmente alla scarcerazione degli indagati per scadenza dei termini di custodia cautelare».